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28 febbraio 1646 Marco Antonio Grimani

Dispaccio del 14 marzo 1647

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
essequitasi da me la visita d’Albona, ove non ho ritrovato alcuna cosa di portar a notitia della Serenità Vostra, solo resa l’ordinaria audienza e, riveduti li maneggi di quel Fontico e Scole, trovato qualche debito, è stato senza difficoltà sodisfatto, mentre della rassegna e rimessa di quelle Cernide, mi riservo con tutte l’altre della provintia, perfettionata la fontione, portarne alla Serenità Vostra distinto conto, con tutti i particolari che stimerò conferenti al publico servitio; sono ritornato qui a Dignano e, vedendo che dal Fonticaro e piezi retenti non vien proveduto alla sodisfattione dell’intacco di lire sedici mille novecento, li ho rilasciati con piezaria di ritornar all’obedienza, acciò con questo stimolo di ritornar prigioni, faciano qualche provisione, come hanno principiato, stimando, fatta in qualche parte la possibile sodisfattione, d’habilitarli per il restante in riguardo delle strettezze correnti, sì come colle mie di 2 ho accennato alla Serenità Vostra.
A quest’Illustrissimo signor Podestà, che contra la terminatione del già Eccellentissimo signor Pasqualigo, Inquisitor in Istria, di 16 febraro 1607, confirmata da cotesto Eccellentissimo Senato li 11 marzo sussequente, che santamente dispone, che da’ Rettori non siano levate pene a’ debitori se prima non fanno preceder il saldo del capitale, sotto pena di restituir altrettanto e di non poter andar a capello, l’essecutione della qual terminatione è espressamente raccomandata al Podestà et Capitanio di Capo d’Istria, ho fatto intimar il mandato del tenor della copia, che invio inserta, perché restituisca in cassa del Fontico lire mille otto cento quaranta due, soldi 12, come appar da’ receveri di suo pugno, ha ricevuto da’ debitori, senza farli pagar il capitale. Doppo haverlo letto, l’ha restituito al comandadore, ed havendoglielo rimandato, non l’ha voluto, havendoglielo esso comandadore lasciato sopra una tavola, mi ha mandato a dire che io gli mostri l’auttorità dell’Eccelso Consiglio di Dieci, che sarà pronto d’obedire, quasi che a quella di cotesto Eccellentissimo Senato non sia tenuto! Io, Serenissimo Prencipe, non ho altro fine che d’essercitar la carica impostami con tutti i riguardi del publico servitio, e di sodisfare colla debolezza mia a’ numeri del mio debito, che però supplico l’Eccellenze Vostre a condonar la molestia che apporterò colle presenti alle gravissime occupationi loro, mentre quanto sono per significarle riconosceranno ben degno della publica notitia. Non occorre, che io tocchi alla Serenità Vostra, che il pagarsi le pene senza il capitale sia il totale esterminio de’ sudditi, che portando avanti con tal pagamento di pene s’ingrossano in maniera i debiti, che si rendono impotenti a sodisfarli, e, quel ch’è peggio, il capitale del Fontico al niente in breve tempo si riduce; onde una riscossione di summa così considerabile di pene di lire mille ottocento quaranta due, soldi 12, senza il contamento del capitale, non deve lasciarsi passar in essempio.
Nella revisione del Fonticaro attuale ho ritrattato una partita di lire due cento tredici, soldi 12, esborsati con mandato di detto signor Podestà, contra la medesima terminatione Pasqualiga, cioè senza contati lire cento trenta nove, soldi 12, a Sua Signoria Illustrissima, et lire cento vinti otto a due Nontii, co’ quali il medesimo signor Podestà vene in Capo d’Istria per la revocatione di suffragio d’habilità, che io havevo concesso a’ debitori del Fontico, che fu anco da me revocato, per esser stato ottenuto da persone illegittime, che venero a levarlo, ben vedendosi quanto indebita ed ingorda sia detta spesa.
Con le lettere di 14 genaro prossimo, unitamente con gl’Illustrissimi Conseglieri, rappresentai alla Serenità Vostra l’inobedienza di detto signor Podestà a lettere d’appellatione della retentione di una tal Domenica Tuniana, con l’assenza di molti giorni di esso signor Podestà dal Reggimento, con molto pregiudicio della giustitia, e la poca corrispondenza che io havevo da detto signore nella materia degl’huomini da remo, a me incaricata da cotesto Eccellentissimo Senato di tutta la provintia, andando la terra di Dignano di tre diffettiva della prima compartita dei cento, et in ducali di 24 l’anno sudetto m’accennò cotesto Eccellentissimo Senato commetter a detto signor Podestà l’obedienza delle lettere, sì come obedì, mandando il processo, che fu anco tagliata la retentione di detta povera donna, commettendo a me d’esprimerle con lettere giurate le cause dell’assenza di esso signor Podestà, e quando nel termine conveniente non facesse contribuire il numero spettante de’ galeotti, appoggiarono a me pure l’Eccellenze Vostre la cura dell’essecutione. Ho formato processo sopra l’assenza sudetta, e come condon, che partì sei, otto giorni avanti le feste di Natale, venendo detto che andò a Venetia, trattenendosi via un mese in circa, così non ho potuto rilevar la causa della medesima assenza.
Non havendo fin hora, non solo fatto adempire alla missione dei tre galeotti della prima compartita, ma né meno ai due e mezo che della seconda a quei habitanti s’aspetta, e che agl’ultimi del passato, conforme ai comandamenti di cotesto Eccellentissimo Senato, dovevano essere in cotesta città, tutto che eccitato con più mano di mie lettere; hora che sono qui, essendo passato tanto tempo, volendo io prender per mano, et terminar quest’affare, obedendo alle sudette commissioni col zelo che ho verso il publico servitio, vertendo certe difficoltà tra alcuni che furono deputati da questa Communità a far la provisione dei huomeni, sopra di che detto signor Podestà molto tempo è ha formato processo, gliel’ho richiesto con ogni lume che paresse alla sua prudenza, senza di che non posso operar cos’alcuna; m’ha risposto che sotto li 24 del passato ha espedito due galeotti del numero di tre, e che per i rimanenti ne farà la provisione. Ho però rilevato che detti due galeotti espediti sono li medesimi che già anco furono condotti, e da gl’Eccellentissimi Procuratori all’Armar, reietti per esser inhabili, com’è seguito di presente con soverchia spesa della poverà Communità, non sapendo con che apparenza detto signore habbia voluto far questa frustatoria missione d’huomini, già conosciuti inhabili. Per i due e mezo dell’ultima compartita dei 50, fatte dal mio Ragionato rivedere le tasse a tal effetto gettate, si trova che solo lire mille sono state riscosse, cento vinti otto de’ quali sono presso il medesimo Ragionato per farne l’incontro con l’altre che l’essattor asserisce esser in scrigno nel palazzo del signor Podestà, per veder se il danaro è effettivo. Questi diffetti però, Serenissimo Prencipe, per mio riverentissimo senso, da altro non derivano se non che detto signor Podestà non vuole, come si dichiara, riconoscer superiore in conto alcuno il Reggimento di Capo d’Istria, pur destinato dal Serenissimo Maggior Consiglio superiore a tutt’i Rettori d’Istria, nelle appellationi ed in molte altre materie, drizzando la Serenità Vostra i suoi comandamenti dei publici affari al Podestà et Capitanio di Capo d’Istria, che li communica poi a’ Rettori della provintia.
Intendo anco che detto signor Podestà ha sedotti questi habitanti, che sono la maggior parte li debitori che le hanno pagato le pene, a ridur consiglio il giorno dietro che io partii da qui; anzi ho un processo rilevato, che uno de’ Sindici del popolo sia stato, contra la volontà de’ Giudici della terra, che non hano assentito e per la spesa, e vedendo la mia dispositione, diretta a tutto il possibile sollievo, spedito a’ piedi della Serenità Vostra a chieder habilità di tempo; e che con esso vi sia venuto il Cancelliero d’esso signor Podestà, ch’era necessario che qui s’attrovasse per somministrar a’ sudditi le somme che le occorrono nell’occasione della visita; et havendo io mandato a chiamare il Coadiutore per haver scritture per li affari predetti, detto signor Podestà ah risposto che non vuol che venga.
È stato, come ho predetto, rilasciato di prigion da me con piezaria il Fonticaro per facilitare maggiormente la sodisfattione del suo debito, a conto del quale ha anco esborsato certa summa di danaro; e l’Illustrissimo signor Podestà, con sprezzo di questo Reggimento, l’ha fatto poner prigione, che per decoro del medesimo io procurerò di ponerlo in libertà, acciò possa attender all’effetto sudetto di procurar la sodisfattione del suo debito.
Il tutto rappresentato alla Serenità Vostra puramente e con tutta integrità, acciò a quest’inconvenienti mostruosi sian dalla publica sapienza applicati i proprii rimedii, li quali pretermettendosi, sarebbe un tacito retrattar l’auttorità impartita al Reggimento di Capo d’Istria, ed un prohibir la visita della provintia, istituita per publico servitio, e consolatione de’ popoli. Gratie etc.

Dignano, in visita a’ 14 marzo 1647.

Marc’Antonio Grimani, Podestà e Capitanio di Capo d’Istria, di man propria con giuramento.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 41.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.