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28 febbraio 1646 Marco Antonio Grimani

Dispaccio del 16 marzo 1647

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
con humilissime mie di 14 ho rappresentato alla Serenità Vostra quanto m’è successo con l’Illustrissimo signor Podestà di questa terra, ed hora, con mia gravissima displicenza, convengo aggiongerle nuovo tedio; ma, trattandosi del publico servitio, al quale tende ogni applicatione mia, devo lasciar da parte ogni riguardo. Non contento detto signore d’haver fatto poner prigione il Fonticaro passato, come accennai in dette mie, ha con intimatione fatti venire li piezi al numero di nuove nel suo palazzo e, seratolo, ivi li trattiene, come con formatione di processo ho rilevato, per impedire le provisioni che io procuravo, che facessero a sodisfattione dell’intacco scritto di lire sedici mille nove cento; con tutto ciò, usate da me le diligenze possibili con essecutioni contra li loro beni mobili, è riuscito vano ogni esperimento, ch’essendo questi stati in libertà, potevo sperare, che havrebbono fatta qualche sodisfattione, come haveva principiato il Fonticaro con certa quantità, se ben poca, di danaro. Fece già mesi detto signor Podestà per intacco di lire vintiun mille ritenere il sudetto Fonticaro, al quale fu da me concesso suffraggio, che con idonee piezarie fosse di prigion rilasciato, acciò potesse procurare la sodisfatione, come fece, di circa lire quattro mille; ed essendo io qui capitato in visita, trovando ancora intacco delle lire sedici mille novecento sudette, e che l’Illustrissimo signor Podestà s’era fermato, coll’haver da’ debitori, senza l’esborso del capitale, ricevute in più volte lire mille ottocento quaranta due, soldi 12 di pene, stimai mio debito di farne i tentativi colla retentione di esso Fonticaro, e di due de’ piezi, che fino colle mie di 2 significai alla Serenità Vostra, per riportarne qualche sodisfattione. Nel tempo però di sei giorni che sono qui, mi sono ben’assicurato dell’impotenza di questi poveri habitanti, la maggior parte de’ quali veramente hanno parte nel debito sudetto, se bene hoggi il Fonticaro e suoi piezi sono i principali debitori; non patendo che colla continuatione del processo, ho rilevato esser in gran parte da lui state trascurate, col dispensar, per suoi illeciti fini et a se stesso, considerabil summa, maggior quantità di grani per famiglia di quello prescrive la sapientissima terminatione Pasqualiga, tanto celebre in questa provincia, già accennata alla Serenità Vostra, havendo commesso anco altri mancamenti; onde, havendolo richiesto a detto signor Pdestà per costituirlo sopra di essi, mi ha risposto con sue lettere con queste formali parole, che non vuol assolutamente darmelo.
Doppo l’istitutione del magistero di Capo d’Istria Giudice d’appellatione sopra tutt’i Rettori della provintia, e con auttorità di Auditori e Avvogadori, come nella parte del Serenissimo Maggior Consiglio, che deve esser fresca nella memoria dell’Eccellenze Vostre, particolarmente nell’occasione delle passate inobedienze di detto signor Podestà, rappresentate nella congiunttura della visita, è stato sempre solito et osservato rivedersi le Cancellerie delle terre, per osservar se ben tenute venghino le scritture et altro che occorre. A tal effetto richiesto, detto signor podestà ha prima recusato; poi, assentitevi, mandando il comandante ad aprirla, ricercato a mandar il Coadiutore, venutovi, dimandato delle scritture correnti, ha risposto che l’Illustrissimo signor Podestà, alla partenza del Cancelliere per Venezia, se le fece consegnare, e mandato a richiederle a detto signor Podestà, le ha negate, come il tutto con depositioni de’ testimonii è stato rilevato, e per bocca del medesimo Coadiutore, che, fattolo venire alla casa ove alloggio, ho stimato di costituirlo, acciò il tutto appara in scrittura.
Non devo tediar la Serenità Vostra con la notitia di altre inobedienze di detto signor Podestà a lettere dell’officio, con pregiuditio della giustitia e de’ sudditi, che nell’occasione di questa visita, per tal diffetto e per l’assenza del Cancelliere, non han potuto far veder le loro ragioni, ed io, nel particolare del Fontico, far risultar l’intiero servitio che desiderava, essendosi in tutte le cose attraversato detto signor Podestà, e nell’interesse de’ galeotti, che va diffettiva la Comunità operar cos’alcuna per le cause nelle precedenti espresse alla Serenità Vostra; onde, con molto mio scontento, convengo partire, consolandomi però d’haver sempre procurato a parte co’ più destri uffici con detto signor Podestà di persuaderle il dovere; non restando pur d’accennar alla Serenità Vostra di non haver io seco mai havuto nel mio particolare alcun interesse, che potesse prender occasione di trattar verso la carica, che sostengo con termini tanto improprii.
Conosciutasi da me, come ho predetto, patentemente l’impossibilità di questi sudditi di sodisfar li loro debiti del Fontico, e che s’andavano annichilendo col pagamento di porre senza il capitale, li ho habilitati per la mità al prossimo raccolto, e per l’altra per tutto decembre prossimo, come nell’inserta terminatione, stimando coi miei deboli talenti d’haver incontrato nella pia mente publica, col sollievo aggiustato di questi miserabilissimi popoli, che in riguardo anco delle gravezze de’ galeotti, era impossibile di poter senza questa habilità ridurli a soddisfatione alcuna, riservandomi però per li mancamenti del Fonticaro di procedere contra di esso criminalmente, come richiederà la giustitia. Gratie etc.

Dignano, in visita a’ 16 marzo 1647.

Marc’Antonio Grimani, Podestà e Capitanio di Capodistria, di mia propria mano con giuramento.

Allegato: proclami del podestà e capitano di Capodistria, datati 14 e 16 marzo 1647 (2 cc.).

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 41.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.