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8 aprile 1651 - 1652 Marco Bembo

Dispaccio del 10 giugno 1651

N. (senza numero).

Serenissimo Principe,
e’ non breve spacio di tempo che questi Sangiachi confinanti di Scutari in Albania, l’altro di Herzegovina, di forze molto potenti tengon fissa la mira a danni di questi luochi e dalle trattationi lunghe, con vicendevoli concerti fra loro, si sotraheva evidente il sospetto di restar invasi.
Di temp’in tempo furono da me indrizziati sempre gl’avisi in ciò com’in altro, all’eccellentissimo signor Proveditor General Foscarini in Provincia e giudicai considerarli più volte in mie lettere la debolezza di queste forze, li pregiuditii che si puotevano sentire col lasciar penetrare l’inimico in questa campagna. In fine mentre appariva già evidente che quello di Scutari havesse dato principio alle mosse col tender all’amassamento d’altre genti, quello di Herzegovina fecce conoscer puss.mi gl’attacchi, per il che avisata pure la medesima certezze, delliberò voler mandar di rinforcio una galera con alcune barch’armade, motivatoli da me questo soccorso da mere per puoter tentar alcun danno dell’inimico verso le rive d’Albania, nel maggior bisogno di questa parte ad effetto di divertir con ogni possibile la sua venuta, mentre da quella dipendevano li danni sicuri a’ nostri et da questo poi il dubio d’alcuna mutatione nelli nuovi sudditi di Zuppa e Maini, o pure la necessità di dispendii all’Eccellenze Vostre per li stessi danni ch’apportaranno haver sofferti per il mantenimento della promessa fedeltà alla Serenità Vostra. Seguentemente poi m’aviso haver sospeso d’inviar esso soccorso, se bene per tutti gl’aviso che continuati io trasmettevo, si confermavan sempre i dubii, cresciuti anzi a segno che sendo già giorni capitato a Podgorizza il stesso Giusufbegovich, havendo di già obligato li bellisocis popoli di Cuzzi e Clementi et altri rubelli da quelli monti, come anco quelli del Monte Negro, d’unirsi alle sue armi espressamente. Con dilligenza avanciai questi avisi, pure al stesso eccellentissimo signor Generale, replicando tutte le dannose conquenze ch’indicava il fatto a nostri pregiuditii, e fra tanto doppo haver ubligato essi nuovi sudditi alla retirata delle famiglie et altro in questa città et a Budua, assicuratomi anco con alcuni hostaggi della loro costanza, osservai tutti li passi della campagna e gli disposi gl’ordini, ch’in fatto con la presenza di questo Collonello La Longa conobbi proprii et per non mancar almeno di tutte le apparenze, mancandomi il modo de gl’effetti ad incoragir l’animo abbatuto di quelle genti in un mandato, ecitandoli alla lor propria diffesa, li mottivano vicino il promesso soccorso, tutto ch’all’hora m’era stato suspeto et il vantaggio che s’acquistassero con vigorose operationi; ond’apunto havendo tentato esso Sangiaco posteriormente, prima con trattationi amorevoli e poi con li rigori di parole, di ritornarli sotto il suo comando e di corisponderli il tributo, francamente si sono dechiariti sudditi della Serenità Vostra, nè voler lui riconoscer con atto alcuno. In questo mentre da confidenti del paese fui avisato haver comesso la marchia del campo sotto il commando del suo Luogotenente per via di Zuppa et però conosciuto io dall’inspitione propria l’impossibilità a’ nostri di ressistere in quel luoco, col parere di questi signori capi da guerra, li ordinai la retirata al posto della Trinità, un miglio lungi dalla città, sotto la scorta della guardia ch’era ivi d’altre nostre genti, acciò non perissero nel poter l’esser levata la retirata. Ciò fu li stante di mattina, giorno del Santissimo Capo di Christo, et poco doppo giunse a quella parte l’inimico et entrà in quella campagna, poderoso di cinque mille combatenti, tra quali ducento cavalli, cento de quali di tutta vaglia, incendiando quel paese et nel stesso tempo scorse con gran vigore ad attaccar il detto posto della Trinità, ove sostenuto l’incontro da nostri ch’era diffesa da paesani, sott’il comando di Lorenzo Bolizza, fu nel spacio di lungo combatimento ributato valorosamente in più volte, ma havendo la prepotenza l’inimico stesso stava insistente ad acquistarlo, fra tanto però ben conosciutasi l’importanza grave di ritrovar ogni possibile al mantenimento di quel posto, con perdita del quale facile li riusciva di scorere con danni e devastationi per tutto il teritorio non solo, ma anco in faccia della città espedii per si fatta necessità sessanta soldati oltramontani sott’il comando del Capitano Giovanni Battista Veturier, peritissimo e valoroso, con Licinio figliolo di questo Governator Martinoni, che desideroso cementarsi coll’inimico ha voluto marchiar tra le prime file con merito veramente d’esso Governatore suo padre, ch’in occasione tant’importante ha voluto azzardar il proprio figliolo, con cui si portorno al quanti di questi citadini, d’un e l’altro ordine, e passò anco il Cavalier Vincenzo Bolizza et il Cavalier Francesco suo fratello, a quello non ha potuto suplire presentialmente per l’importanza, non cessa con altre operationi d’ogni maggior serviggio dell’Eccellenze Vostre. All’incaminamento et arivo di questo soccorso, si ritirò l’inimico medesimo alla campagna, con morte di dodeci de suoi rimasti feriti sol doi de’ nostri. La sequente mattina passò in doi mille ad invader la villa di Cartoli, ove atteso ad un passo di masiera da cento arcobuggieri, seguì sanguinosa facione, ma superato finalmente il passo medesimo, non puotero più opporsi quelli nostri per il loro puochissimo numero contro tanti, onde fugiti alla riva furono vinti cinque morti, caduti prima li Turchi in molto maggior numero, da quali seguiti gl’altri alla riva si perdevano, mentre non incontravano nella diffesa della galea del signor Governator Latia, ch’a quella parte da me disposta validamente diffese le rive medesime, certo col somo della sua lode; onde poi passarono alla villa di Catoli, incendiando quelle case, come feccero in altra villa puoco lungi detta Glessevich e Barda, estesosi anco per tuta l’altra campagna, ove incendiò pure tre case grandi di questi cittadini, senza ch’a tanta forza s’habbi puotuto apponer in parte alcuna da nostri di si poco numero, che n’anco puotevan guardare a segno si conveniva il nominato posto della Trinità. Fra l’operationi così potenti de Turchi, quelli di Castel Novo osservata la gallera applicata alla diffese da terra, feccero sortita con fuste, attaccando le barch’armade a queste boche, ma per la buona diffesa di queste convennero retirarsi con perdita d’alquanti Turchi, senz’altro proffito, feriti solamente tre di nostri. Osservin l’Eccellenze Vostre le consequenze gravi e danosissime per questa piazza da si fatti bollori che massime mentre di nuovo havesse tantato la sorpresa del già detto posto, era in evidentissimo pericolo a cadere, mentre da più parti puoteva invaderlo, senza speranze ch’a tanta forza, puotesser ressister soli trecento che lo guardavano, non restand’il modo d’alcun altro soccorso per scarsezza di militie egenti. A giorno fatto si scoprì (?) marchiado l’inimico, fatta levata di notte andato verso il paese, come s’è poi inteso, onde si sono retirate anco le nostre genti, rimastavi l’ordinaria guardia. Tra il più che l’animo mio devoto ha puotuto bramare nel stato di queste cose, fu la mura principale di veder preservato il detto posto e, lode Iddio, n’habbi ciò permesso a gloria degl’anni di questa piazza di non essersi da pochi dato segno di timore coll’inimico si poderoso.
Resta però a considerare il danno fatto a sudditi, ridotti in estrema miseria di sostenerli e principalmente il stato di questa piazza che rimanendo di presente senza biscotto, con puochissimi formenti, consumatisi le puoche proviggioni ultimamente da Vostra Serenità trasmesse, non havendo trovato il io arivo qui cos’alcuna, nè dovendo sperarsi dall’eccellentissimo signor Generale in Provincia alcun sussidio per le stretezze comuni, è suplicata la Serenità Vostra render munita questa piazza, nel modo che la virtù infalibile dell’Eccellenze Vostre conoscon più conferente fra queste agitationi nelli presenti tempi, tenue riuscendo l’espeditione di soli cinquecento stara di formenti et cinquanta miera di biscotto ultimamente delliberato, mentre nell’occasioni simili più portar il caso ch’in giorni convenirebbe consumarsi il tutto.
All’Eccellenze Vostre porto queste dovute notitie, stand’io aplicato con l’ardenza maggiore del vivo zelo a quello di nuovo sussitar puotesse, intendend’hoggi da lettere del signor Podestà di Budua e dalli capi di genete, havendo però ritirato in Budua le famiglie et essi dechiarandosi disposti alla diffesa possibile, che però al stesso eccellentissimo signor Generale signiffico li dubii, che più possono temersi perchè soccora come paresse alla virtù sua. Gratie etc.
Cattaro a dieci giugno 1651.
Marco Bembo Proveditor Estraordinario.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Cattaro, b. 2.
Trascrizione di Giulia Giamboni.