31 marzo 1681 Valerio da Riva
Dispaccio del 8 maggio 1682
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
ritardatesi finora l’operationi nel restaurar il palazzo di Portole, come commandò l’Eccellentissimo Senato, perché non si sono potuti radunar li materiali occorrenti, si è questi giorni dato principio alle medesime, anzi provandosi qualche difficoltà nell’appaltar le fatture, e vedendosi le fatte per tempi passati riuscite di poca durata, benché non poco sii stato il denaro impiegatosi, per scansar gl’artificii et le fraude dei maestri io mi son, senza aggravio alcuno però della publica Cassa né de’ sudditi, portato personalmente in quella terra, dove con l’occhio proprio considerato il bisogno, concluso ho gl’accordi e dati gl’ordini per la più sollecita perfettione dell’opra. E perché il colmo del palazzo stesso, coperto di lastre gravi e pesanti, si conosce chiaro esser riuscito di pregiuditio alla fabrica tutta, che con le travature e muraglie non corisponde in sodezza per regger e sostener il carico, perciò stimat’ho bene il farlo coprire di copi, che come riuscirà certamente migliore, così non porterà che piciol augumento alla spesa decrettata.
Per sopraintender all’opera stessa ho destinato il Tenente Domo (?) Vsanovich, huomo di fede e soldato d’honore, che, osservando sian esseguiti gl’accordati, doverà contribuire, a proportion dell’opera stessa, per anco agl’operarii, il dinaro che passa per le sue mani, tutto poi raccomandato havendo alla vigilante cura di quell’Illustrissimo Rappresentante.
Qui poi s’è dato principio parimente alla restauration di questo castello Lione, meritando certo d’esser sostenuta dall’imminente precipitio una così bella, se ben piciola, fortificatione dell’antichità. Oltre un pressante bisogno, vi concorre il publico decoro, assieme con il beneficio, perché nelle occasioni essendo questa città mancante di quartieri, si potrebbero nel castello medesimo alloggiare una Compagnia di cavalli, e quattrocento fanti, così ben disposto si trova et in tutte le sue parti diviso. Ma come ho deputati, per asister alla fabrica, signori Agostin Viola e Andrea Tarsia, gentil’huomini di questa città, soggetti d’integrità et esperienza, così per proseguirla manca il principal nerbo del dinaro. Questa Cassa non può che con difficoltà supplire alle sole ordinarie spese; s’aggiongono di presente, per decreto dell’Eccellentissimo Senato, li salarii degl’Illustrissimi Consiglieri, che prima s’essigevano dai Camerlenghi di Commun; ond’io son necessitato a supplicar humilmente la Serenità Vostra di qualche provedimento, e per suggerir anco il modo che senza publico dispendio et incommodo potesse praticarsi, humilio a Vostra Serenità la facilità che sarei forse per incontrare di qualche imprestanza, pur che l’Eccellentissimo Senato mi permetti l’auttorità di cautellarla nella maniera che segue. Sei cento ducati furono decretati per la facitura di quest’opera; di cinquecento soli corre bisogno per l’angustie in cui si ritrova questa Cassa, per haverli vi sarebbero più occasioni, pur che le difficoltà della restitutione non l’impedissero; a scanso dunque di questo, intanto rassegno a Vostre Eccellenze, con ogni rispetto, che bisognarebbe far l’assegnatione de’ ducati cento all’anno a chi facesse l’esborso; questa sarebbe pronta e facile, mentre essisterebbero in Camera li settantadue ducati annuali che sopra lo scritto nelle passate riverentissime mie commandò la Serenità Vostra si scansassero per li due bombardieri che al castello stesso stavano di guardia; onde, con l’aggionta solo di 30 ducati all’anno, dispendio insensibile alla Camera, si venirebbe a sodisfar in cinqu’anni il debito, e rimarebbe con celerità il publico servitio adempito. Per cautellar ancomaggiormente l’imprestanza bisognarebbe che Vostra Serenità tenesse obbligato il Podestà e Capitanio a portar boletino e fede giurata d’haver contato lire 833, che sarebbe l’importar di ciò che in sedici mesi anderebbe creditore chi farà l’esborso sopraccennato. Né lasciando di riccordar divotamente quel tanto che possa, benché picciol vantaggio, contribuir alla spesa, considero che si trovano sparsi per predetti boschi vicini al confine diversi legni, tagliati molto temp’è per publico servitio, ma restati poi inutili e quasi affatto marciti. Questi si potrebbero però, così commandando la Serenità Vostra, impiegar in fornaci o calcare, sendo solo buoni da fuoco, et avanzar in tal modo qualche 40 ducati. Tanto trasmeto humilmente sotto i sapientissimi riflessi di Vostre Eccellenze, per veder s’incontra il publico sovrano beneplacito. Gratie etc.
Capod’Istria, 8 maggio 1682.
Valerio da Riva, Podestà e Capitanio.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 65.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.