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31 marzo 1681 Valerio da Riva

Dispaccio del 18 maggio 1682

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
gl’Illustrissimi signori Podestà di Città Nova riscuotevan da quella Communità li suoi salarii, che con le proprie rendite li sodisfaceva. Nati poi varii disordini, fu il già Eccellentissimo signor Lorenzo Donado, Podestà e Capitanio di questa città, che con prudentissima terminatione, approbata da publico decreto, stabilì che alcune entrate che  sono di pesche, le quali venivano da detta Communità incantate e delliberate, fussero tirate in questa Camera et affittate dalla medesima in gl’incanti, per dover esser il tratto impiegato in benefitio della Communità stessa, col solito giro di scrittura, e principalmente nel pagamento degl’accennati salarii de’ Rappresentanti, e limitatione alla Cassa dell’Eccelso Consiglio di Dieci, restando alcune altre rendite, che come prima s’incantano e dispongono, a Città Nova, in varie occorrenze di quel Commune. Hora succede che quell’Illustrissimo Rettore, ricercandomi li suoi salarii, non si trova denaro in questa Camera di sodisfarlo, ma né meno di pagar la limitatione, perché il Ministro della medesima, nuovo e non informato della terminatione Donado, che pur non era né anco a me nota, ha lasciat’uscire il denaro raccolto, in pagamento d’alcuni crediti che dovevano pagarsi coll’entrate della Cassa di Cittanova, le quali sono state assorbite da certi creditori in sodisfatione di loro vecchi avvanzi. Quest’inconveniente, che può frequentemente succedere anco appresso agl’altri che a Cittanova si praticano nel giro della scrittura, mi fa patentemente conoscere che molto riuscirebbe aggiustato l’ordinare che non solo parte, ma tutte le rendite d’essa Communità si riponessero in questa Camera, che da questo elleggimento s’incantassero e delliberassero, e che qui, con i consueti giri di scrittura, si facessero li pagamenti, così de’ salarii come d’ogn’altra cosa, dovendo tutto quel denaro ch’avanzasse restar in credito e vantaggio di detta Communità, per impiegarsi alle sue occorrenze. Egl’è certissimo che tal provisione riuscirebbe in gran bene di quella, perché tra li cittadini, se ben pochi, vi sono pure alcuni che soprastano e prevagliono, e però, non vi sendo libera concorrenza, le rendite si deliberano anco con utilità privata e discapito publico. L’entrata tutta insieme può esser un anno per l’altro lire 2.900 annuali. Circa lire 1.800 passano per questa Cassa; le altre 1.100 dispongonsi e giransi a Cittanova. E tanto m’è parso conveniente di portar con proffond’ossequio alle ponderationi e sapientissime deliberationi di Vostre Eccellenze; anzi parmi proprio anco da considerare che, pagandosi dalla Communità a quel Reggimento a certi tempi alcune regaglie, per l’importar in tutto di lire 366 all’anno, e nascendo molte volte contese tra Rettori per il tempo dil maturar le rate, e facendosi più mandati e bolette con qualche confusione, crederei molto proprio che si ripartisse il pagamento di quattro in quattro mesi, a lire 122 per rata, così che ogn’uno verebbe a conseguire il suo drito a giusta proportione del tempo.
E perché son entrato nella materia d’essa città, la di cui populatione so quanto sia, e sia stata sempre, a cuore alla Serenità Vostra, dirò humilmente che alle conditioni di mala qualità di quell’aria e d’altro, che difficultano l’intento, conviensi contraponerne alcune che lo facilitino, con alletar le persone di altri luochi a fermarsi colà. Certo che non si rissolveranno a ciò huomini benestanti nella sua patria, onde convien applicar a quelli che si figurino, col mutar stanza, migliorar conditione. V’erano alcuni Rovignesi che, come partecipai alla Serenità Vostra, pensavano di trasferirsi, ma pretendendo tropo, e con eccedente publico agravio, n’ho abbandonato il tentativo. Io non vedo chi più esser possa a proposito dei Gradesani. Quella terra populatissima risentirà più beneficcio che danno, se bene si levasse di là una vintena di famiglie, ma sostenendosi essi con l’arte del pescare, necessario si rende anco c’habbino acque libere e communi. Ve ne sono sotto Cittanova che potrebbero a ciò servire, particolarmente le pesche di Belveder e Santa Lucia, col paludo di San Pietro, da’ qualli poco affitto cava la Communità, le rendite restanti della quale potrebbero, co’l incantarsi per questa Camera, crescersi molto più di quello portasse il degrado, per lasciar a benefitio commune de pesche e paludo. Oltre di ciò, restando l’huomo condoto di certo natural desiderio d’esser qualche cosa nella sua patria, sarebbe bene statuire, come s’è anco con frutto praticato a Parenzo, ch’ogn’uno c’havesse luoco e fuoco habitato per sei mesi fusse senz’altra balotatione ammesso al Consiglio, e per tre anni alle cariche che sostengono quei cittadini. Il che levarebbe il gran disordine c’hora corre e che, se bene prohibito, per il ristrettissimo numero però de’ cittadini, non può sradicarsi, che le cariche si conferiscano a persone non habitanti a Cittanova, essendo li Giudici presenti et attuali comoranti a Buie, il Cancellier in Capodistria, li Giustitieri e Fonticaro pure a Buie e Villanova; così che non puono esser da loro le cariche medesime nel modo che si conviene essercitate. Sopra tutto però crederei dovesse applicarsi alla sicura provisione del pane per il popolo. Vi è il Fontico, è vero, ma così mal regolato che non può sicuramente a lungo sussistere. Ogni volta che si vi pone mano, si trovanno mancamenti; li mancamenti chiamano il castigo, et il castigo con publico pregiuditio dannifica, et alle volte estermina il suddito. Io toccat’ho con mano simil inconveniente; le farine eran già quattro mesi a lire 22 lo staro; con qualche opportuno provedimento l’ho fatte calar a lire 15, e nella prossima settimana caleranno alle quattordeci. Ad alcuni di quei cittadini ho convenuto, se ben con mano legiera, far sentir la correttione de’ loro trasgressi.
Per dar buon ordine a materia così sconvolta stimarei fusse proprio riddur in denaro il capitale tutto di quel Fontico, e consignarlo a chi ellevasse, all’incanto da farsi per questo Reggimento, l’obligo di mantener alla città di farine, com’è stato fruttuosamente praticato altre volte, dovendosi però riserbar in Fontico cento stara di formento, che è quantità sufficientissima da prestarsi per le semine.
L’appaltadore, che per giusti riguardi parmi non dovrebbe essere quella città e territorio, doverebbe prestar in questa Camera idonee pieggiarie, così per il denaro che se gli dasse, come per manten(imento) delle farine nelle forme, et ai prezzi contenuti, et si minuirebbe il salario solito darsi al Fonticaro. E già s’essibisse un tal Bernardo Burchio da Grado di mantenere d’ottima farina di Friuli a peso di libre cento e trenta, al pretio di lire due lo staro di più di quello si venderà a Pirano, e ciò con il riguardo che in detta terra il peso è solamente libre cent’e vinti, et il formento di Dalmatia et Albania di inferior conditione e mala qualità; obbligandosi pur a tener sotto le conditioni prescritte li sodetti cento stara di formento, e che col fermarsi et aumentarsi gl’habitanti si accreserebbe anco in essi l’affetto verso il luoco, e col industriarsi a puoco a puoco a coltivar la campagna, sentendone l’utilità et il frutto, verebbero a stabelirla per sua patria.
In altra forma certe famiglie di Gradesani che n’erano sino partite, et alcune che vi sono, quando non habbino da poter sostentarsi, et esser a parte di quella cittadinanza e di quel Conseglio, sono in breve per alluntanarsi.
Tanto, in affare così attinente al servitio della Serenità Vostra, si è da me stimato convenirsi alla publica sovrana notitia, perché maturamente ponderato, possa dilliberarsi anco tutto ciò che dalla publica Sapienza sarà giudicato conferente. Gratie etc.
Capo d’Istria, 18 maggio 1682.

Valerio da Riva, Podestà e Capitanio.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 65.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.